Sussurrare ai cavalli. Per la rubrica “Dall’animazione all’Action figure, un mondo a cavallo”, vi ricordiamo un film molto caro ad amazzoni e cavalieri: “L’uomo che sussurrava ai cavalli“.
“L’uomo che sussurrava ai cavalli”. Un film di successo: per sapere qualcosa di più sul cavallo
Per la rubrica “Dall’animazione all’Action figure, un mondo a cavallo”, abbiamo scelto per tutti gli amanti del cavallo…e del cinema, un film di Robert Redford alla sua quinta regia: “L’uomo che sussurrava ai cavalli”.
Consigliamo, a chi non l’avesse ancora visto, di regalarsi tre ore in compagnia di questo film che vede tra i protagonisti Pilgrim, lo splendido purosangue, vera metafora e simbolo della vita.
Attorno a lui, lo stesso Robert Redford, Sam Neill, Kristin Scott Thomas, Scarlett Johansson e Chris Cooper. Un cast d’eccezione, dunque, per questo film del 1998.
Il romanzo di Nicholas Evans, pubblicato un anno prima, da cui trae ispirazione il film, viene raccontato fedelmente da due sceneggiatori di prim’ordine, Eric Roth e Richard LaGravenese, che indulgono a qualche libertà solo nel finale forse, addirittura, migliorandolo.
Se non hai avuto ancora il piacere di vedere questo film, ti riassumiamo la trama che darà lo spunto per approfondire il tema su coloro che preferiscono sussurrare ai cavalli piuttosto che gridare comandi.
Sussurrare ai cavalli: il dramma familiare
Il film inizia in una bella e ricca campagna vicino a New York dove Pilgrim, l’amato cavallo della giovane Grace MacLean (interpretata dall’allora quattordicenne Scarlett Johansson), è vittima di un incidente. Ne uscirà gravemente ferito e, insieme a lui, anche la sua amazzone che lo cavalcava.
Grace, sopravvissuta, perde una gamba e il dramma si fa più profondo anche perché, in quell’incidente, perde la vita la sua cara amica. Da quel momento, l’esistenza di Pilgrim non sarà più la stessa. Il sogno americano della famiglia di successo si infrange e la famiglia si disintegra: Grace e sua madre Annie (Kristin Scott Thomas), rimarranno sole…con Pilgrim.
La cornice della campagna fuori dalla città newyorkese non è poi più così confortante. C’è bisogno di spazio, di aria, di natura, magari selvaggia, istintiva. E allora la svolta: per volere di Annie Maclean, la madre di Grace, la famiglia da cui nel frattempo si è allontanato il marito, si trasferirà in una fattoria nel Montana.
È qui che tra gli scenari maestosi, dal sapore “Marlboro Country”, le donne e il cavallo incontreranno Tom Booker (interpretato da Robert Redford).
Convinta che la “guarigione” della figlia sia strettamente legata al rapporto con il suo amato cavallo, Annie rifiuta l’abbattimento di Pilgrim e inizia una collaborazione che si rivelerà salvifica con Tom, “l’uomo dei cavalli”.
A questo punto il film si trasforma in una sorta di western moderno alla ricerca della possibilità, ormai estrema, di trovare un (difficile) compromesso tra famiglia/vita e felicità.
Sussurrare ai cavalli: il tempo per guarire le ferite
Il ritmo lento e cadenzato riporta al tempo della vita e, soprattutto, della guarigione del corpo e dell’anima. Un ritmo che scandisce diversamente il tempo della città rispetto a quello delle praterie del “Big Sky Country”. Nelle tre ore di film, il regista cerca proprio di spiegare questa dimensione.
Forse un film discutibile per alcune scelte che possono apparire troppo “sentimentali”. Per noi spettatori amanti del cavallo, questa sarà l’occasione per comprendere meglio il sodalizio millenario tra cavalli, amazzoni e cavalieri… e qualcosa di più.
Qual è il tempo per curare le ferite del corpo e dell’animo di un cavallo? E per guarire una persona? Quanto tempo è necessario per lenire quei dolori che non passano?
Curare è una vocazione, è un dono: per le ferite del corpo e per quelle più profonde, c’è bisogno di tempo, di un tempo lungo e paziente.
Gesti lenti, dolci che sussurrano conforto, comprensione e che hanno a che fare con il nutrimento, l’accudimento, l’amore.
“Un milione di anni prima dell’uomo pascolavano sulle vaste praterie solitarie vivendo di voci che solo loro riuscivano ad ascoltare. Conobbero l’uomo come la preda conosce il cacciatore, perché prima di usare i cavalli per il suo lavoro, l’uomo li uccideva per la carne.
L’alleanza con l’uomo sarebbe stata sempre fragile perché il timore che egli aveva instillato nei loro cuori era troppo profondo per poterlo rimuovere.” Così Annie Maclean, introduce il suo progetto per la guarigione della figlia e del suo cavallo. Quale?
Sussurrare ai cavalli: un dono concesso solo a pochi
Continua, Annie, raccontando una storia lontana. Tra gli uomini che imbrigliarono per la prima volta i cavalli, ce ne furono alcuni che ebbero una sensazione, un’intuizione: nel momento forte, coercitivo, della cattura, sentirono che potevano “vedere nell’anima di quelle creature e lenire le ferite che vi trovavano. I segreti bisbigliati dolcemente nelle orecchie turbate.”
Annie stava parlando di quegli uomini che erano conosciuti come i “sussurratori”.
L’alleanza con l’uomo non poteva che rimanere per sempre fragile perché il timore che egli aveva instillato nei cavalli rimase impresso come un marchio, un imprinting indelebile.
Da qui la scelta di assumere Tom, uno che ci sapeva fare con i cavalli…e con le persone. Un “sussurratore”, appunto.
Già per il romanzo da cui attingono i due sceneggiatori del film, Eric Roth e Richard La Gravenese, nel ritrarre i caratteri dell’uomo che sussurrava all’orecchio di Pilgrim, l’autore si è ispirato ad un personaggio reale. Si tratta di Buck Brannaman.
Ma chi era Buck Brannaman? E come divenne un “sussurratore”? Dopo un’infanzia di abusi, Buck Brannaman, è stato in grado di trasformare il suo dolore in una dote preziosa: riuscire a comprendere il mondo interiore dei cavalli con cui aveva convissuto fin da bambino.
Dall’attenta osservazione delle mandrie dei selvatici mustang americani, imparò tutto quello che c’era da sapere per opporsi alla rigida e violenta doma tradizionale praticata in quelle terre e introdurre un metodo completamente diverso, basato sulla reciproca comprensione e sull’empatia.
Secondo Brannaman, come ogni relazione, anche quella con il cavallo rispecchia aspetti personali non risolti. “Il modo in cui un cavallo ti risponde, racconta molto della tua relazione con lui. Parla anche un po’ di come approcci le relazioni con altri esseri umani. Se il cavallo ti accetta nel suo mondo, è probabile che tu sia un essere umano piuttosto piacevole con cui stare. Se non può sopportarti, probabilmente ci sono alcune cose che devi modellare nella tua vita che vanno al di là del rapporto con l’animale”.
È chiaro che la sua riflessione va molto oltre il rapporto uomo-cavallo per entrare in quello della vita e delle relazioni personali.
In quest’ottica, il rapporto con il cavallo diventa un insegnamento per imparare a superare gli ostacoli e i traumi che la vita talvolta ci riserva. Ci “costringe” alla relazione con il presente impedendoci di indugiare nel passato doloroso.
Proprio per questa sua profonda esperienza, Brannaman ha accettato di assistere Robert Redford, nel ruolo non facile di “sussurratore”, come consulente sul set del film .
Cosa sussurrano gli uomini che parlano ai cavalli?
Ma chi sono i “sussurratori”?. Cosa sussurrano e a quale scopo?
I cosiddetti “sussurratori” – horse whisperers, in inglese- sono fondamentali, e non solo per aiutare cavalieri ed amazzoni a superare i propri traumi o a stabilire un nuovo approccio positivo con il cavallo.
Il loro metodo si fonda, per lo più, sulla doma etologica e su un metodo dolce, basato sul rinforzo positivo per riabilitare i cavalli che hanno subito dei traumi.
Non è sempre facile giungere ad un successo anche usando questo metodo, e spesso il trauma viene superato solo in parte. Quando questo accade, per lo più, secondo Brannaman, “sono gli umani a essere responsabili del loro fallimento nel non aver aiutato un cavallo a imparare quello che non doveva fare prima che diventasse troppo pericoloso”. In questa visione c’è un messaggio importante che naturalmente travalica il mondo equino.
Come Brannaman, anche Monty Roberts, soprannominato “l’uomo che ascolta i cavalli”, ha imparato il linguaggio non verbale dei cavalli, osservandoli allo stato brado. Chi s’intende di doma dei cavalli conoscerà il metodo a diffusione mondiale del “join up”. Questo nuovo approccio adottato da Roberts, ribaltava completamente gli schemi del mondo equestre, e fu così rivoluzionario da incuriosire addirittura la Regina d’Inghilterra che rimase molto colpita durante la presentazione pratica del metodo.
In realtà, la doma etologica del cavallo, o doma dolce, è una pratica che affonda le sue radici nel passato. Già nel 350 a.C. Senofonte, nel suo Trattato sull’equitazione, raccomanda un addestramento “senza dolore”, partendo dal presupposto che un cavallo felice sarà anche più efficiente.
“Addestramento gentile” significa rispettare la naturale comunicazione con i cavalli. In pratica la doma dolce si basa sul presupposto che un cavallo, trattato con dolcezza e comprensione della sua natura, sarà più disposto ad instaurare un rapporto collaborativo con chi lo cavalcherà.
Questo metodo, dunque, trae il suo fondamento dall’importanza di comprendere e condividere il codice comunicativo del cavallo. Tra i due, è l’uomo che si deve adeguare al cavallo, imparando il suo linguaggio.
I gesti e le parole che usa normalmente l’uomo quando lancia i comandi, sono segnali che spesso il cavallo non comprende o fraintende.
Si tratta di un animale molto legato ai suoi istinti che, in natura, appartiene ad un branco dove ogni esemplare ha un diverso modo di comunicare a seconda del suo ruolo nel gruppo e della gerarchia. Il movimento del corpo dell’addestratore e la voce diventano, dunque, ingredienti fondamentali per creare l’empatia necessaria e per costruire con il cavallo un rapporto proficuo e duraturo.
Sussurrare ai cavalli significa dire piano e a bassa voce che li abbiamo capiti, che siamo con loro e che insieme faremo qualcosa. Di grande, di piccolo, non ha importanza. Quello che conta è che lo faremo insieme con rispetto reciproco. Che poi, è un po’ il segreto di ogni convivenza di successo.
L’uomo che sussurrava ai cavalli: un film sui cavalli e sulle persone
Dunque, “L’uomo che sussurrava ai cavalli” è un film sui cavalli e sulle persone, su tutti noi che abbiamo a che fare con la vita. Forse un po’ prolisso, a tratti melodrammatico, senz’altro doloroso, come sa essere la vita.
E’ un film che ci insegna che amore e dolcezza sono gli unici veri ingredienti efficaci per superare il dolore. Ci insegna il “trucco” per entrare nel cuore ferito di chi soffre anche quando tutto sembra inutile. Ci insegna a parlare piano, ad “entrare” in punta di piedi, a non pretendere, ma a chiedere con dolcezza e pazienza.
Mentre corrono le immagini mozzafiato sullo schermo, impariamo che il dolore ha un suo tempo, quello di rimarginare la ferita. Un tempo lento che va sentito e accettato con comprensione e rispetto…sempre, sia che si tratti di un animale che di una persona.